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Finanziamento privato alla cultura: modello italiano e inglese a confronto

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IL NUMERO 2/2023 DELLA RIVISTA DI POLITICA ECONOMICA

Da qualche decennio oramai, le istituzioni pubbliche in Europa volte alla produzione e promozione della cultura – tra cui musica, arte visiva, il cinema cosiddetto d’élite o il teatro – affrontano crescenti pressioni per diversificare le proprie fonti di finanziamento. In aumento, in particolare, sono gli sforzi per attrarre sempre più sostegno economico da parte di attori privati. Tale necessità deriva, innanzitutto, dalla riduzione del sostegno finanziario che queste istituzioni culturali hanno tradizionalmente ricevuto dal settore pubblico, oltre ad altre esigenze legate principalmente a necessità di rinnovamento.

 

Poste dinanzi a una diminuzione del sostegno economico statale, quali sono le strategie e gli strumenti che le istituzioni culturali possono attuare per incrementare le proprie risorse economiche? Posti i limiti alla possibilità di innalzare eccessivamente il prezzo dei biglietti d’ingresso, data la necessità di garantire un’equa accessibilità ai servizi culturali proposti, molti musei, teatri e altri luoghi della cultura si sono rivolti alla filantropia privata. Ma l’apertura a questi finanziamenti privati pone delle altre questioni di ordine etico, culturale e politico: ad esempio, le donazioni provenienti da fonti controverse possono influenzare la reputazione e l’operato delle istituzioni culturali.

 

Nell’analizzare queste questioni appare interessante comparare le soluzioni intraprese in Italia e in Inghilterra, tanto dal punto di vista istituzionale quanto di politica pubblica. In tali paesi i principali musei nazionali pubblici, come la National Gallery, il British Museum e le Gallerie degli Uffizi, si ritrovano a dover bilanciare gli obiettivi culturali con la necessità di ottenere finanziamenti ma, essendo diversi i contesti normativi in cui operano, diversi sono anche i gradi di autonomia di cui le istituzioni culturali godono, facendo quindi emergere differenti modelli di controllo pubblico da parte dei governi e delle amministrazioni centrali.

 

Vi sono alcuni esempi che aiutano a meglio comprendere la complessità delle questioni menzionate, così come ad illustrare le diverse strategie di management e politica culturale adottate a livello nazionale.

Per quanto riguarda l’Inghilterra, noto è il caso delle proteste contro la famiglia Sackler, che ha sostenuto economicamente importanti musei nazionali prima che emergesse lo scandalo legato agli oppioidi, che produceva e commercializzava sotto forma di farmaco (l’OxyContin). La decisione di non accettare più donazioni derivanti da queste fonti per preservare la reputazione delle istituzioni culturali è stata adottata in autonomia dai Boards of Trustees dei musei coinvolti. Questi ultimi, infatti, sono gli unici a poter prendere decisioni di questo tipo, con scrutini da effettuarsi caso per caso, seguendo le regole interne e le linee guida di cui ogni istituzione culturale, per iniziativa propria, si è dotata.

 

Ma le attività che i musei pubblici devono includere nella propria agenda sono sempre di più e mirano a una diversificazione rispetto ai compiti tradizionali che erano a loro affidati (custodia dei beni, catalogazione delle collezioni, apertura al pubblico). In tale contesto si possono annoverare anche altre possibilità più specifiche che i musei pubblici hanno per ottenere maggiori entrate. Tra queste rientra la riproduzione e la diffusione delle immagini dei beni culturali: riproduzioni digitali delle opere d’arte che ad oggi possono essere realizzate con tecnologie, finalità e metodi di tipo diverso. La creazione e l’uso di software sempre più sofisticati rende infatti possibile ai più grandi capolavori dell’arte custoditi all’interno dei musei pubblici nazionali di uscire (sotto forma di riproduzione) per adornare le stanze di appartamenti o essere venduti in gallerie private. Ma tale possibilità, così come per l’accettazione di donazioni, richiede una serie di riflessioni in quanto alla base di potenziali conflitti tanto sul piano culturale che politico.

Anche in questo caso è importante sottolineare come vi siano sicuramente degli aspetti normativi che la singola istituzione culturale deve tenere in considerazione nell’attuazione di una strategia economico-manageriale volta a diversificare (e ad incrementare) le proprie risorse economiche. Oltre a un dato regolatorio, che indica al museo cosa può o cosa non può fare ai sensi della legislazione nazionale, vi sono poi delle scelte discrezionali e di opportunità che la singola istituzione potrà attuare ma che possono essere anche influenzate da indicazioni provenienti dall’amministrazione centrale, determinando così una più o meno ampia autonomia gestionale.

In un’ottica in cui è facile prevedere come la richiesta di finanziamenti privati nei confronti delle istituzioni culturali continuerà a crescere, è quindi rilevante analizzare questo fenomeno tanto in ottica normativa che politica. Rispetto al primo aspetto, risulta essenziale comprendere quali sono gli strumenti dati dalla legislazione in vigore che effettivamente permettono ai privati di contribuire alla protezione e alla valorizzazione del patrimonio e delle attività culturali.

Per quanto riguarda l’analisi di tipo politico, lo studio delle modalità attraverso le quali effettivamente le singole istituzioni culturali riescono ad attrarre risorse economiche da attori privati si rivela fondamentale per indagare l’atteggiamento dell’amministrazione centrale rispetto al gradiente di autonomia lasciata nei confronti dei propri istituti culturali (autonomi).

Comparando due paesi come l’Italia e l’Inghilterra, si può osservare come mentre nel primo caso il ministero della Cultura mantiene sui musei nazionali autonomi uno stretto controllo, intervenendo nelle politiche di gestione finanziaria interna, in Inghilterra i musei statali godono di un’autonomia decisamente maggiore. In questi due contesti, quindi, la natura della politicizzazione delle scelte effettuate dalle singole istituzioni culturali, i suoi effetti sulla loro autonomia e infine sulla effettiva possibilità di attrazione di fondi privati differisce sostanzialmente.

 

Vi sono molti fattori che potrebbero spiegare queste differenze, ma tre sono i principali: le tipologie di strutture istituzionali, le tradizioni politico-culturali del paese di riferimento e le ideologie prevalenti. In termini di strutture istituzionali, i musei italiani rimangono parte del ministero della cultura, sono prevalentemente soggetti a regole derivanti dalle disposizioni normative nazionali e, anche per questo, offrono molte opportunità per il governo di definire e affermare una propria linea politico-ideologica.

Al contrario, seppur esiste un quadro giuridico che disciplina i musei nazionali in Inghilterra, la regolamentazione dettagliata di questi ultimi non avviene attraverso fonti normative, trattandosi piuttosto di regolamenti interni. A ciò si aggiunga poi che in Inghilterra vi è una forte tradizione di autonomia dei musei nazionali rispetto al governo centrale, mentre i musei cosiddetti “autonomi” in Italia sono di recente creazione.

Infine, le ideologie di politica culturale differiscono tra i due paesi: notiamo in Inghilterra un potente movimento sin dagli anni Ottanta verso il “new public management”, mentre la tesi per la quale la cultura dovrebbe rimanere in mano pubblica e separata dal settore privato è ancora molto diffusa in Italia.

 

Tuttavia, nonostante le differenze, il finanziamento privato dei musei nazionali pubblici è aumentato negli ultimi anni sia in Inghilterra che in Italia e, dati i probabili futuri vincoli al finanziamento pubblico, questa tendenza sembra destinata a continuare. Data questa prospettiva, si deve quindi tenere in considerazione come il finanziamento privato non sia solo una questione economica, ma anche legale e politica.

(Nella foto in alto, la National Gallery a Londra)
(Per informazioni e acquistare il volume cliccare qui)

 

 

Nota sugli autori

ANNA PIRRI VALENTINI

Anna Pirri Valentini è ricercatrice in Diritto amministrativo presso l’IMT Scuola Alti Studi Lucca, affiliata a LYNX – Center for the Interdisciplinary Analysis of Images, Contexts, Cultural Heritage.

È docente all’Università Luiss Guido Carli, dove insegna Heritage, Tourism and Sustainable economic development policy e Culture policy and society. I suoi principali interessi di ricerca riguardano il diritto e l’arte contemporanea; il diritto del mercato dell’arte; la digitalizzazione del patrimonio culturale; la circolazione delle opere d’arte e la tutela giuridica del paesaggio, tematiche su cui ha pubblicato su riviste nazionali e internazionali.

 

MARK THATCHER

Mark Thatcher è professore ordinario presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università Luiss Guido Carli, dove dirige il corso di laurea magistrale in Policies and Governance in Europe. Si occupa principalmente di politiche pubbliche comparate. Prima di arrivare alla Luiss, ha insegnato International and Public Policy alla London School of Economics. È stato visiting professor a Science Po (Parigi) e fellow all’European University Institute di Firenze.

 

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