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Tutelare la continuità aziendale, appunti per le Pmi

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Il panorama normativo italiano in materia di crisi d’impresa e insolvenza ha subito significative modifiche con l’adozione del D.lgs. 12 gennaio 2019 n. 14, noto come il Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza. Questo decreto, in vigore dal 15 luglio 2022, ha introdotto obblighi specifici a carico degli imprenditori tesi a prevenire e gestire tempestivamente situazioni di crisi aziendale. Merita in questo contesto soffermarsi sull’obbligo per le imprese di adottare assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati alla loro natura e dimensioni. Si tratta di una prescrizione per la verità già vigente da tempo per quelle imprese che adottavano la forma di società per azioni, ma con l’entrata in vigore del D.lgs. n. 14/2019 ne è stata estesa la portata anche alle altre imprese in forma societaria e collettiva ed enfatizzata la sua finalità di prevenzione della crisi di impresa.

 

Alla luce del quadro normativo attuale (art. 2086 comma 2 c.c. ed art. 3 del D.lgs. n. 14/2019), all’obbligo in capo alle società di adottare adeguati assetti viene difatti attribuito uno scopo ben preciso, ossia quello di consentire il tempestivo rilevamento della crisi e della perdita della continuità aziendale e di attivare tempestivamente gli strumenti previsti dall’ordinamento per il suo superamento.

Analogamente anche agli imprenditori individuali viene oggi richiesto di adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte.

Il dettato normativo precisa poi che, al fine di far emergere tempestivamente la crisi di impresa, gli adeguati assetti debbano consentire di rilevare squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario, di verificare la sostenibilità dei debiti e la continuità aziendale nei 12 mesi successivi e di ricavare le informazioni occorrenti per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento attraverso l’uso dei due strumenti previsti dall’ordinamento (ossia la lista di controllo e un test pratico consistente in una sorta di “self assessment” sullo stato di salute dell’impresa). Vengono inoltre individuati dal legislatore indicatori di pre-crisi che gli assetti debbono essere in grado di “captare”, legati a ritardi nei pagamenti delle retribuzioni, debiti scaduti verso fornitori ed esposizioni finanziarie scadute.

 

La ratio è chiara: nella logica del legislatore l’emersione della situazione di crisi in maniera anticipata dovrebbe consentire all’imprenditore in difficoltà di intervenire tempestivamente e in una fase precoce onde avere maggiori chances di successo nell’eventuale intervento di risanamento. Al di là di queste indicazioni normative, la normativa non individua tuttavia un modello predefinito di adeguati assetti, ma questi dovranno essere strutturati caso per caso.

Sulla scorta anche dell’orientamento giurisprudenziale emergente da recenti pronunzie giurisprudenziali (Trib. Cagliari 19 gennaio 2022, Trib. Roma 15 settembre 2020 e Trib. Milano 18 ottobre 2019), è da ritenersi che la tipologia degli interventi scelti dall’organo amministrativo per la istituzione degli assetti soggiaccia al cosiddetto principio del business judgement rule e pertanto possono considerarsi inadeguati solo se manifestamente infondati e caratterizzati da mancanza di ragionevolezza e prudenza.

Compete dunque all’organo amministrativo determinare discrezionalmente le soluzioni maggiormente indicate per la strutturazione degli assetti che comprendano tutti e tre i profili presi in considerazione dalla norma, ossia quelli organizzativi, amministrativi e contabili, in funzione delle caratteristiche dell’impresa e secondo un generale canone di proporzionalità basato sulle sue dimensioni e la natura dell’attività. In pratica, per assolvere a detto obbligo, utili indicazioni potranno trarsi dai principi elaborati dalla scienza aziendalistica e dai codici di autodisciplina.

 

Merita a tale riguardo citare il documento di ricerca della Fondazione Nazionale dei Commercialisti dal titolo “Assetti organizzativi, amministrativi e contabili: profili civilistici e aziendalistici”, il quale delinea un percorso sotto il profilo aziendalistico di implementazione degli adeguati assetti sviluppato per fasi, partendo dall’individuazione del modello di business dell’impresa e del modello gestionale per giungere alla strutturazione degli assetti stessi.

 

A tale ultimo riguardo, secondo la Fondazione, potranno essere considerati (i) sul piano degli assetti organizzativi, la struttura organizzativa (organigrammi, mansionari, etc.), le modalità e meccanismi di governo dell’impresa e i sistemi operativi atti a favorire l’integrazione tra differenti attività aziendali; particolare rilievo potranno avere anche i modelli di organizzazione e gestione ai sensi del D.lgs. 231/2001 quali strumenti di risk management e di rafforzamento dei meccanismi di corporate governance; (ii) sul piano degli assetti amministrativi, l’adozione di un piano industriale, di piani operativi o budget e di un’attività di controllo su questi ultimi; ed ancora (iii) sul piano degli assetti contabili, l’adozione, oltre al bilancio di esercizio, del bilancio gestionale, del bilancio previsionale e il sistema di reporting.

La medesima Fondazione, con lo scopo di agevolare il lavoro di strutturazione degli adeguati assetti, ha elaborato la check list operativa disponibile qui.

Abbiamo visto che anche le imprese di minori dimensioni o con attività meno complesse sono soggette a questo adempimento. In tal caso lo stesso dovrebbe tuttavia ritenersi soddisfatto, in conformità al principio di proporzionalità, con la predisposizione di protocolli organizzativi semplici e ridotti alle tipologie funzionali più elementari ma comunque adeguati rispetto alle caratteristiche dell’impresa.

È interessante notare come i dettami sopra esaminati, seppur ad una prima analisi sembrerebbero focalizzarsi su aspetti contabili, nella sostanza appaiano avere impatti anche in ottica di sostenibilità. Il tema della tutela dell’ambiente e del rispetto dei diritti sociali ha difatti assunto negli ultimi anni sempre maggiore interesse, sulla spinta di un’esigenza collettiva tesa a migliorare la qualità della vita e di emergenze ambientali, e ciò ha portato a risvolti importanti anche a livello normativo. Basti notare che le istituzioni europee a partire dal 2018 hanno dato luogo ad una copiosa produzione normativa tesa ad orientare i capitali verso iniziative sostenibili in un quadro di trasparenza, comparabilità e tutela dell’interesse pubblico, variamente articolato a livello ambientale, sociale ed economico.

Un esempio significativo è rappresentato dalla “Corporate Sustainability Reporting Directive”, la quale a breve richiederà alle imprese di maggiori dimensioni e alle società quotate sui mercati Ue non qualificate come “microimprese” di pubblicare annualmente un report per comunicare al pubblico, agli investitori e ad altre parti interessate le proprie pratiche e performance in materia di sostenibilità. Questa evoluzione sta comportando la diffusione di nuovi modelli di governance societaria che, accanto ai tradizionali rischi economico-finanziari, incorporano anche la rilevazione e gestione dei rischi di sostenibilità.

In questo ambito, fra gli elementi da considerare per la valutazione di adeguatezza degli assetti societari, appare ragionevole ricomprendere anche i presidi di governance e controllo preposti dall’impresa alla sfera Esg, nonché l’impatto che eventualmente i rischi di sostenibilità possano avere sugli equilibri di carattere patrimoniale o economico finanziario dell’azienda.

 

In conclusione, il tema degli adeguati assetti appare rappresentare per molte imprese, in particolare le Pmi, una problematica ancora aperta e complessa. Si tratta infatti di intraprendere un percorso che passa da un’analisi preliminare della struttura e modello di business dell’impresa per poi integrare, con un approccio possibilmente integrato che considera gli aspetti finanziari e quelli legati alla sostenibilità, i nuovi assetti nei sistemi e modelli già esistenti (modello ex D.lgs. 231/2001, sistemi di qualità, etc.).

Ma va considerato che l’istituzione degli assetti va applicata nella giusta logica, rapportata anche alla dimensione e tipologia della impresa interessata. Inoltre essi appaiono rappresentare non solo uno strumento di prevenzione della crisi, come voluto dal legislatore, ma anche e soprattutto una “leva” per una maggiore efficienza e miglioramento nella gestione dell’impresa e in ultima analisi fattore di successo a lungo termine della stessa. In tal senso è auspicabile una sempre maggiore consapevolezza dell’utilità degli adeguati assetti e diffusione nel mondo imprenditoriale.

 

 

 

Nota sugli autori

DANIELE GIOMBINI

Daniele Giombini si è laureato in giurisprudenza all’Università di Perugia nel 1999 ed è iscritto all’Ordine degli Avvocati di Milano dal 2005. Partner dello studio legale Mondini Bonora Ginevra, presta consulenza, giudiziale e stragiudiziale, in materia commerciale, societaria, nel diritto bancario e finanziario e in materia di ESG e società benefit. Ha conseguito master di specializzazione in diritto societario, nella contrattualistica d’impresa e in contabilità e bilancio.

 

CLAUDIO BONORA

Claudio Bonora è iscritto all’Ordine degli Avvocati di Milano dal 1980 e iscritto al Registro dei Revisori Contabili dal 1995. Partner dello studio legale Mondini Bonora Ginevra, presta consulenza, giudiziale e stragiudiziale, in particolare in materia commerciale e societaria e nel diritto bancario e finanziario.

Dal 2003 è docente nell’ambito del Master in Diritto dei mercati finanziari dell’Università di Milano e, fra i molteplici ruoli associativi, è stato presidente della Associazione europea per il Diritto bancario e finanziario (AEDBF) di Parigi dal 2005 al 2008. Attualmente è presidente onorario e membro del Comitato scientifico della stessa.

 

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