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⚡️ Tanzania: l’esperienza di chi opera sul campo

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IL PUNTO DI VISTA DELLE ISTITUZIONI: RICCARDO ZUCCONI, DIRETTORE ICE DI ADDIS ABEBA

RICCARDO ZUCCONI

La responsabilità come direttore dell’ufficio Ice di Addis Abeba, competente oltre che per l’Etiopia, anche per i mercati della Tanzania, dell’Uganda, del Rwanda, della Somalia e – fino al 2023 del Kenya –, mi ha dato il privilegio di avere una visione d’insieme e comparata dei paesi del Corno d’Africa.

Nell’area, la Tanzania è senz’altro uno di quelli con la maggiore attrattività per le aziende italiane e offre moltissime opportunità di sviluppo commerciale e di investimento nei settori della meccanizzazione e del turismo nel loro insieme.

I piani governativi di sviluppo sono sempre più orientati a favorire lo sviluppo della meccanizzazione agricola e della modernizzazione dell’industria, soprattutto quella legata alla trasformazione alimentare e allo sfruttamento industriale del considerevole patrimonio di bestiame: 35 milioni di bovini e 35 milioni di ovini.

Il settore primario nel suo complesso può contare su un’area coltivabile di circa 45 milioni di ettari – paragonabili alla superficie della Germania e dell’Austria messe insieme – e, includendo l’allevamento di bestiame, contribuisce per il 30% del Pil del Paese e occupa il 75% della forza lavorativa disponibile.

Le politiche industriali puntano allo sfruttamento della propria vocazione agricola, aggiungendo valore alle produzioni locali con la trasformazione alimentare per soddisfare una crescente domanda interna e affrontare i mercati internazionali.

Le recenti attività promozionali organizzate dall’Ice in Tanzania hanno messo in luce la crescente richiesta di modernizzazione tecnologica in tutti i settori rientranti nella filiera dell’agribusiness e hanno condizionato di conseguenza la programmazione delle attività del prossimo anno.

 

DAR ES SALAAM

 

IL PUNTO DI VISTA DELL’IMPRESA: IL CASO TOSCANA MACCHINE CALZATURE

DANIELE FERRADINI

Daniele Ferradini (nella foto accanto) è Ceo di Toscana Macchine Calzature, impresa nata nel 1983 a Lamporecchio, in provincia di Pistoia nel 1983, dall’esperienza di cinque professionisti provenienti da un’azienda affermata nel settore calzaturiero fin dai primi anni ‘60. Negli anni Duemila, sono stati inseriti in azienda i rispettivi figli, che hanno apportato idee innovative e una tecnologia moderna continuando a mantenere ai massimi livelli la qualità dell’azienda.

 

Signor Ferradini, che tipo di azienda è, oggi, Toscana Macchine Calzature?
Siamo un’azienda all’avanguardia, specializzata nella fornitura di macchinari, ricambi e tutti i tipi di accessori inerenti al settore della calzatura e della pelletteria. L’esperienza pluriennale del nostro staff tecnico e commerciale ci permette di proporre soluzioni su misura per ogni esigenza e di assicurare un’esperta consulenza e una qualificata manutenzione a tutte le aziende inerenti al settore calzaturiero e componentistico.

Siamo in grado di seguire accuratamente calzaturifici, pelletterie, trancerie, suolifici, solettifici, tacchifici e tutte quelle aziende che ruotano intorno alla produzione delle calzature o degli articoli in pelle.

L’innovazione tecnologica, la garanzia di un ottimo servizio e l’accuratezza nel seguire i clienti dalla progettazione della fabbrica fino alla realizzazione del prodotto finito, ci ha consentito di avere fra i nostri clienti numerosi calzaturifici che lavorano per le maggiori firme italiane.

Il nostro mercato, fortemente consolidato in Toscana e in Italia, si è ampliato negli ultimi venti anni verso il mercato estero. Oggi seguiamo con uffici distaccati paesi come Polonia, India, Bangladesh, Pakistan, Africa, Stati Uniti, realizzando nuovi impianti oppure migliorando la qualità di quelli già esistenti.

 

Che tipo di presenza avete in Tanzania?
Nel 2020 abbiamo realizzato un progetto “chiavi in mano” con una capacità di quattromila paia di scarpe al giorno, inclusa la produzione di accessori come suole, puntali e contrafforti, solette e pelletteria varia come borse, cinture, portafogli.

Il nostro punto di forza è quello di poter garantire un eccellente supporto tecnico successivo all’installazione per insegnare ai lavoratori locali ad avviare nel migliore dei modi la fabbrica, senza spreco di tempo e risorse.

Un aspetto importante da non sottovalutare è stato quello dell’impatto sociale sul territorio, con l’assunzione di circa 1.200 addetti alla produzione nella fabbrica.

Il primo progetto è stato quello di ristrutturare un calzaturificio già presente in un carcere nella città di Moshi nel 2016, nel nord Tanzania, dove abbiamo inviato alcuni macchinari nuovi e ridisegnato tutta la linea produttiva in modo da garantire un corretto e funzionale production flow, ottenendo un eccellente feedback da tutte le forze armate locali.

 

Alla luce dell’esperienza maturata nel Paese, quali ritiene che siano le maggiori opportunità e i rischi legati all’operare in Tanzania?
La Tanzania è un paese ricco di opportunità, che coinvolgono diversi settori economici, quali turismo, agricoltura, allevamenti ittici e molti altri business legati allo sviluppo e alla crescita economica in corso. In più, è un paese solido e con un basso rischio operativo rispetto a qualsiasi progetto si abbia in mente. Ovviamente non bisogna sottovalutare le normative e le usanze locali.

 

Che consigli darebbe ad un’impresa italiana interessata al mercato tanzaniano?
Per prima cosa, ritengo siano molto importanti i Business Forum che vengono organizzati annualmente sia in Tanzania che in Italia. In quelle occasioni possiamo toccare con mano i reali bisogni del paese, creare nuovi contatti e approfondire le opportunità di business.

Dopodiché occorre cercare di capire se il proprio prodotto può essere all’altezza di una possibile vendita in loco oppure può essere lavorato o trasformato localmente, per poi eventualmente investire e costruire un impianto di produzione direttamente in Tanzania.

 

(Contributi raccolti da Flavio Rossano e Alfredo Sagona)

(Per la foto all’interno dell’articolo si ringrazia l’ambasciata d’Italia a Dar Eel Salaam)

 

 

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