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⚡️ Sviluppare competenze manageriali: meno formazione e più training

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Qualcuno dirà: c’è ancora qualcosa di nuovo da dire sulla formazione executive? In effetti, ovunque se ne parla e, spesso, con enfasi retorica e manierista, reiterando slogan vuoti che alludono a dare forma al futuro, accettare le sfide, innovarsi per crescere. E non solo se ne parla; se ne fa! E sul mercato fioriscono innumerevoli programmi, a volte non propriamente top quality, pensati per la “formazione” di manager e imprenditori.

 

Saturazione e banalizzazione suggeriscono che il tema va ripensato e richiede scelte differenti, partendo dal concetto di base. La parola formazione deriva dal verbo formare che etimologicamente significa modellare, forgiare, plasmare, insomma partire da materia indistinta e conferirle, per l’appunto, una forma. Ma ha senso pensare che i professionisti per cui è pensata la formazione manageriale, che spesso hanno alle spalle tra 10 e 20 anni di impresa, esperienze, sfide, gestione, siano materia “sfocata” e abbiano bisogno di acquisire una forma, come l’acqua di “camilleriana” memoria? Ben poche volte! Forse ciò vale, e marginalmente, per chi si riconverte in settori o funzioni (tecniche) molto diverse da quelle fin lì praticate, oppure comincia “dal nulla” a pensare da manager. Ma, nella maggior parte dei casi, i manager, e gli imprenditori che incontriamo nelle aule (fisiche o digitali) hanno percorsi e profili professionali la cui forma è scolpita, solida e più che nitida.

 

Perché allora riempire di “formazione” il poco tempo che hanno a disposizione? Perché insistere con concetti astratti, teorie, modelli e inseguire l’idea di farli diventare ad ogni costo esperti di qualcosa o utilizzatori specializzati di strumenti tecnici? Ovvio: la cosiddetta cassetta degli attrezzi è la base di riferimento. Ma, in realtà, manager e imprenditori sono quasi sempre in cerca di stimoli e visione, piuttosto che di concetti tecnici, vogliono comprendere potenzialità e applicabilità di uno strumento, piuttosto che usarlo in prima persona, preferiscono capire quale impatto una decisione avrà sull’azienda, piuttosto che scomporla in una miriade di componenti tecniche e hanno l’ambizione di essere introdotti a questioni sfidanti che la frenesia quotidiana consente loro solo di “annusare”.

Non si tratta di formarli ma di allenarli, o – parafrasando Einstein – metterli nelle condizioni migliori per imparare, pur rinunciando a insegnare loro qualcosa. Soddisfare i fabbisogni di manager e imprenditori, “mettendo a terra” le loro potenzialità significa fare meno formazione e più training.

 

E quindi? Quali sono le proprietà che identificano e rendono efficace un programma di training manageriale? In primo luogo, la personalizzazione: ogni atleta è diverso per caratteristiche e attitudini innate, così come per esperienze pregresse e capacità acquisite. Ogni manager, analogamente, merita un percorso di training che, pur rispettando alcuni standard irrinunciabili, sia calibrato sulle sue specifiche esigenze. Le possibilità di implementare questo approccio sono numerose, anche nel contesto di prodotti di training manageriale che stanno “a catalogo” e si basano sul concetto di aula. Qualche esempio? Sessioni di approfondimento one to one su temi concordati e calendarizzate ad personam, self assessment la cui “restituzione” avvenga su scala individuale e consenta di fare fine tuning del programma di training, utilizzo di piattaforme di digital learning personalizzabili, gaming tool.

 

Un programma di training, oltre che personalizzato, deve essere ancorato all’obiettivo desiderato e dare frutti velocemente: ciò che serve a un atleta per diventare più rapido, non è ciò che lo rende più potente o resistente alla fatica. Anche in un’aula executive si deve lavorare per mettere a disposizione di manager e imprenditori competenze “giuste”, concrete, immediatamente utilizzabili per risolvere i problemi che quotidianamente si incontrano in azienda. Un buon approccio in questo caso è quello di rinunciare a procedere per aree tematiche o discipline e impostare ogni momento di lavoro come processo di risposta a un quesito puntuale. Cosa c’è di meglio che uscire da una sessione di training manageriale portandosi in tasca la soluzione a un problema concreto e ritrovarsi poi a doverla solo calibrare sul proprio caso specifico?

 

Il terzo ingrediente sta nell’agire perché l’unicità che connota l’approccio a ognuno degli atleti caratterizzi anche la sua performance successiva. Il purpose dichiarato (e quindi vincolante) del training executive dovrebbe essere quello di accompagnare ogni professionista a costruire un proprio modello individuale di management e leadership, coerente con gli standard universali, ma al contempo originale. Per favore, studiate a fondo i profili delle persone (e delle relative aziende) che avete nel gruppo di lavoro e fatene uso adeguato in aula.

 

Ancora due “tocchi” finali. Non è training efficace quello che non prevede di studiare gli avversari, comprenderne la tattica, analizzare il campo di gioco. Eppure, spesso ce ne dimentichiamo. Ogni competenza manageriale va rapportata al contesto, altrimenti il giorno dopo ecco frustrate decisioni brillanti che hanno incontrato un ecosistema poco accogliente, ecco progetti di valore vanificati da un’inefficace scelta di tempo o dal non aver incluso nella progettazione variabili esogene ad elevato impatto. Darwin non mentiva: sopravvivono e vincono coloro che meglio si adattano al contesto e alla sua evoluzione; l’ecosistema non va subìto passivamente, ma analizzato, compreso e incluso tra le variabili oggetto di qualunque training d’aula. Infine, attenzione alla persona, al suo modo di pensare e vivere le complessità; in fondo, come si può personalizzare il modello di management senza alimentare il giusto portafoglio di soft skill?

Fare scelte differenti è sfidante per chi conduce e per chi pratica l’allenamento, ma è la vera chiave. In fondo è come diceva Muhammad Alì: “Io corro sulla strada, molto prima di danzare sotto le luci”.

 

 

Nota sull’autore

MASSIMILIANO SERATI

Massimiliano Serati è Dean della LIUC Business School e professore associato di Politica economica presso la LIUC – Università Cattaneo. I suoi interessi prevalenti riguardano l’analisi di scenario macroeconomico e settoriale, la progettazione di sistemi di monitoraggio delle performance aziendali e settoriali tramite KPI, lo studio delle determinanti della competitività aziendale e la valorizzazione degli asset di attrattività territoriali.

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